
Pensando agli specchi oltre il design



Pensare allo specchio come un elemento decorativo, ma anche “comunicante” che varca i confini dei tempi; da Platone con L”Apologia” in cui Socrate è come uno specchio che pone ciascuno di fronte a se stesso e nell’ “Alcibiade” incarna lo specchio il cui sguardo riflessivo deve condurre Alcibiade alla cura e alla conoscenza di sè, a Tasso nell’amore tra Rinaldo e Armida, da Pirandello equilibrista tra arte e vita, tra essere e apparire volando lungo i sentieri dei tempi fino ad “Alice attraverso lo specchio”.
Gli specchi ci dicono realmente chi siamo? Come spiega Hannah Arendt “Agendo e parlando gli uomini mostrano chi sono, rivelano attivamente l’unicità della loro identità personale, e fanno così la loro apparizione nel mondo umano, mentre le loro identità fisiche appaiono senza alcuna attività da parte loro nella forma unica del corpo e nel suono della voce.
Questo rivelarsi del “chi” qualcuno è, in contrasto con il “che cosa” (…) è implicito in qualunque cosa egli dica o faccia. Si può nascondere “chi si è” solo nel completo silenzio e nella completa passività, ma la rivelazione dell’identità quasi mai è realizzata da un proposito intenzionale, come se si possedesse questo “chi” e si potesse disporne allo stesso modo in cui si possiedono le sue qualità e si può disporne. Al contrario è più che probabile che il “chi”, che appare in modo così chiaro e inconfondibile agli occhi degli altri, rimanga nascosto alla persona stessa (…). (Arendt, Vita Activa. La condizione umana, ed. Bompiani, 2005, pagg. 130-131).
Gli specchi sono moniti del “qui” e dell'”ora”, ci collocano nell’esatto momento in cui portati dal passato e posti nell’incertezza del presente, ci guardano ricordandoci di noi nella frenesia di una contemporaneità, che ci sfugge perchè già passata.
Fonti:
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