Conflitto in Medio-Oriente: gli ebrei tra emancipazione e assimilazione. ll cammino verso la nascita del movimento sionista in Europa occidentale e centrale.

Conflitto in Medio-Oriente: gli ebrei tra emancipazione e assimilazione. ll cammino verso la nascita del movimento sionista in Europa occidentale e centrale.

Ciò che caratterizza una nazione è il fatto di poggiare la sua unicità e quindi la sua esistenza su una Storia comune che viene fatta risalire a secoli addietro. Quando questo legame con un passato collettivo viene usato per rivendicare la propria esclusività su un dato territorio-nazione, il condiviso costruito sulla memoria, sul legame emotivo e sul senso di appartenenza politico, culturale e sociale, si traduce in azione; nazionalismo. La rivendicazione della Palestina da parte degli ebrei sionisti, trova fondamento nella Bibbia, in Abramo e nei suoi discendenti emigrati nella Palestina nel II millennio a. C.. Il periodo più proficuo, anche se breve, dal punto di vista culturale e politico è segnato dai regni di Davide e Salomone nel X secolo a.C.. Nel 63 a.C. i Romani conquistano la capitale del regno Gerusalemme e nel 135 d. C. la distruggono e rinominano la provincia Palaestina, toponimo da cui deriva l’arabo Filastin. Distrutto il centro di culto ha inizio la diaspora, il trasferimento della vita ebraica nelle comunità esterne alla Palestina, fulcro fino alla nascita del movimento sionista. La narrazione palestinese inizia anch’essa in epoca antica. Prima dell’arrivo degli israeliti, il territorio era abitato dai cananei di lingua semitica (tra l’ebraico e l’arabo) e dai filistei, giunti in Palestina nel XII secolo a.C.. Detti “popoli del mare” i filistei s’insediano sulle coste orientali del Mar Mediterraneo, soggiogando fenici, egiziani e ittiti e, in base alla storiografia palestinese, non vengono mai conquistati dagli israeliti. Alcune recenti scoperte mostrano come la Storia dei filistei non collimi con il racconto biblico. Diversamente dalle tribù dei patriarchi biblici dediti esclusivamente alla pastorizia, essi danno vita ad una florida civiltà urbana federandosi nella “lega delle cinque città”: Ashdod, Ascalona, Ekron, Geth, Gaza; l’attuale territorio della Palestina. A questo punto il racconto prosegue con le invasioni islamiche e l’ingresso della Palestina nell’Impero musulmano di cui tratto nell’articolo sulla nascita del nazionalismo palestinese. Gli eventi della Storia antica sono fondamentali per capire la formazione dell’identità israeliana e fanno da fondamenta alle basi del movimento sionista, celebrati nel corso dei secoli restano invariati a forgiare ed alimentare il senso e il tempo di una memoria collettiva, si pensi all’assedio di Masada del 74 d.C., la fortezza nei pressi del Mar Morto ultimo baluardo degli ebrei contro i romani, per cui la narrazione vuole che i ribelli scelgano il suicidio collettivo piuttosto che la resa al nemico. Per comprendere la nascita del sionismo e del pre-giudizio antisemita è necessario guardare all’Europa Occidentale e Orientale, tra il Seicento e gli inizi del Settecento e allo sviluppo degli Stati nazionali messi in crisi dall’imperialismo, che porta alla competizione tra i vari Stati nazionali e al declino sempre più impetuoso del ruolo che gli ebrei avevano avuto al loro interno. Dal Medio Evo all’inizio dell’età moderna la maggior parte degli ebrei viveva in aree urbane circoscritte denominate “ghetto”, dove aveva la possibilità di seguire le proprie usanze come i riti sociali ed esercitare le proprie attività come le transazioni commerciali all’interno della comunità. Tra il XVII e il XVIII secolo singoli ebrei riescono ad emergere dal “ghetto” e a ricoprire l’influente ruolo di “ebreo di corte”, dedito agli affari del proprio principe e finanziatore delle attività statali. Oltre a godere di numerosi privilegi, gli “ebrei di corte” svolgevano una sorta di protezione nei riguardi della più ampia comunità di ebrei, fungendo da tramite delle istanze della comunità ai principi. Con l’avvento dello “Stato assoluto” e la volontà dei sovrani d’imporre la propria supremazia, una comunità autonoma come quella ebrea non poteva essere tollerata in quanto una sorta di stato all’interno dello Stato. La Storia degli ebrei è strettamente legata a quella degli Stati e del rapporto tra di essi, il processo di smantellamento delle comunità ebree non avviene in modo omogeneo, inoltre lo Stato contemporaneo si sviluppa prima in Europa occidentale e centrale e poi in quella orientale, per cui la Storia delle comunità delle due aree segue percorsi diversi. Tuttavia il 1791 è una data fondamentale che segna un cambiamento nella Storia delle comunità ebree di entrambe le aree. Nell’Europa occidentale e centrale l'”emancipazione degli ebrei”, l’eliminazione delle strutture autonome e delle distinzioni giuridiche, ha il suo culmine durante la Rivoluzione francese, quando si propone la concessione di pieni diritti di cittadinanza agli ebrei: “ognuno di loro deve diventare cittadino individualmente”. Venuta meno l’autonomia delle comunità ebree e con essa i privilegi feudali di cui godevano, si accelera il processo di passaggio di potere dei dotti a quello dei notabili, sedimentatosi nel corso dell’Ottocento e poi sostituito dal movimento sionista. Inoltre le crescenti esigenze finanziare dei nascenti Stati nazionali portano ad estendere i privilegi concessi agli “ebrei di corte” alla classe ricca di banchieri ebrei tra cui ebbe una vertiginosa ascesa la famiglia dei Rothschild. Va da sé che l’imporsi della politica imperialista, conduce alla perdita da parte degli ebrei del monopolio del credito statale e della loro importanza come gruppo, anche se alcuni mantengono la funzione di consiglieri finanziari e mediatori intereuropei. È in questo contesto che la famiglia Rothschild ha un ruolo fondamentale, tanto da alimentare la convinzione che il popolo ebraico costituisca una sola famiglia unita da legami di sangue. Credenza che emerse ogni qual volta le classi sociali vennero a scontrarsi con lo Stato, scatenando odio e antisemitismo politico. Sulla scia della Francia anche gli altri Stati dell’Europa occidentale e centrale promuovono l’emancipazione, che alla fine del 1800 in quest’area può ritenersi conclusa, mentre in Europa orientale il percorso è molto più lento, basti pensare che in Russia gli ebrei vengono emancipati nel 1915. L’emancipazione degli ebrei presenta contraddizioni sia dal punto di vista politico, che dal punto di vista sociale e alimentò nei loro confronti da un lato l’antisemitismo politico in quanto considerati un elemento unito e compatto all’interno della nazione, dall’altro discriminazione sociale qualora si promosse l’eguaglianza e parità di diritti con i non ebrei. La questione dell’emancipazione si concretizzò in termini di problema educativo piuttosto che politico. Gli ebrei sono accettati non in quanto tali, ma in quanto singole “eccezioni”. Nel corso del Settecento questo atteggiamento si traduce nell’umanesimo di Herder, di Lessing e nei propositi del Wilhelm Meister di Goethe; gli ebrei vengono considerati espressione di una particolare umanità ed intelligenza. Questo aspetto riguarda in particolare la Berlino illuminata, ma sia che si trattasse dell’ascesa dei notabili o dell’intelligencija ebraica in entrambi i casi riguardò particolari eccezioni, con l’unica differenza che i primi “eccezionali” per ricchezza per quanto distaccati dalle comunità ambivano al dominio su di esse, restandone pertanto legati, mentre gli intellettuali desideravano e cercarono di separarsene per non scomparire nella massa perseguitata, da qui le numerose conversioni. In tutti questi casi si chiese agli ebrei di essere ebrei eccezionali, senza essere ebrei, venendosi a creare una profonda lacerazione interiore, che alimentò la costante indecisione, per sopravvivere, tra l’essere dei “parvenu” ossia degli arrampicatori sociali o dei “paria” esclusi dalla società a rischio di perdersi nella massa dell’ebreo in “generale”, costantemente minacciata dall’odio antisemita.

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Fonti: Hannah Arendt: “Le origini del totalitarismo”, James L. Gelvin “Il conflitto israelo-palestinese”.

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