Intermezzo tra presente e passato: l’antisemitismo un pre-giudizio contro il mondo e l’inedito di fronte alle armi di distruzione di massa.
Per questo intermezzo di pensieri trovo riparo in quello che diceva il filosofo e drammaturgo tedesco Gotthold Ephraim Lessing, coraggioso illuminista “fuori dalle righe”: “Non ho il dovere di risolvere le difficoltà che creo. Le mie idee possono essere sempre un pò sconnesse, o sembrare anche contraddirsi: conta solo che siano idee in cui i lettori possano trovare materia per pensare da sé (Selbstdenken)”. Il pensiero per Lessing è un modo per “muoversi liberamente nel mondo”, non esercitato nella solitudine, né tanto meno ricercato per trovare un equilibrio tra sé e il mondo, ma intrapreso per stimolare un dialogo tra gli uomini in un momento dato e quindi privo di barriere giuridiche, morali, religiose e urgenze di logica o coerenza. Lessing non vuole produrre conoscenze, ma stimolare un pensiero “agente”, non sottomesso ad alcun risultato e quindi in movimento. Nel poema drammatico “Nathan il saggio” (Nathan der Weise 1778), i nodi tematici si muovono nella tensione tra la verità da un lato e l’amicizia e l’umanità dall’altro, sullo sfondo delle tre religioni monoteistiche l’Ebraismo di Nathan, il Cristianesimo del Templare e l’Islamismo del sultano Saladino. Al di là delle molteplici differenze e verità storiche quello che conta e che resta, è l’essere uomini che condividono lo stesso mondo e quindi possono essere amici. L’umanità e la fraternità di Lessing sono pensate da una posizione priva di pre-giudizi, ossia di quelle “verità assolute” su cui poggia il mondo e da cui trae significati e continuità e, proprio per questo, nonostante siano continuamente scosse, vengono sempre ricostituite anche senza che abbiano ancora un significato nella realtà. L’umanità intesa come fratellanza compare solo nei “tempi bui”, delle guerre e dei massacri, ed è prerogativa degli umiliati e degli offesi, dei popoli paria che sono perseguitati e ridotti in schiavitù. (1)
Se per Hannah Arendt “Ciò che è andato storto è la politica, e cioè noi, per quanto esistiamo al plurale”, (2) nei nostri “tempi bui” forse “ciò che è andato storto” è il fatto di essere stati risucchiati in una dimensione “privata” resa costantemente “pubblica”, credendo in questo modo di avere un ruolo nel mondo, quando in realtà questo ripiegare in sé stessi è stato il risultato di un voluto distacco da esso. A mio parere nel “come” e “perché” di questo distacco si ritrovano i nodi e si rivelano le contraddizioni del tempo presente. Uno di questi nodi potrebbe ritrovarsi proprio nei pre-giudizi, che non sono altro che giudizi anticipati formulati in epoche precedenti e rimasti come orientamento per rapportarsi alla realtà, ma di fatto non verificati né empirici. Da un lato svolgono la funzione di potersi rapportare alla realtà senza l’obbligo di ridefinirla continuamente, dall’altra sono per natura esclusivi e delimitano, avendo una valenza solo in un contesto puramente sociale, l’ingresso nella società degli uomini. È proprio nei “tempi bui” che i pre-giudizi invadono la sfera del politico e diventano pericolosi, trasformandosi in ideologie che hanno la pretesa di spiegare tutta la realtà storica e politica, impedendo la formulazione di nuovi giudizi e criteri per esperire il reale. Come potrebbe spiegarsi altrimenti l’antisemitismo come strumento di lettura e come reazione agli eventi che letteralmente precipitano attualmente sulle nostre teste?
Senza addentrarci in una questione così complessa, passando per “Le origini del totalitarismo”, attraversando Raul Hilberg, Elie Wiesel, Zygmunt Bauman, pensando insieme a Yehuda Bauer e riflettendo sulle “discussioni” di Abraham B. Yehoshua o “semplicemente”, trovando un interlocutore in Lessing o “calandoci” in Kant quando guarda al “senso comune” come facoltà di giudizio e definisce il “pensiero aperto” come la capacità di “pensare mettendosi al posto di ogni altro”, mi chiedo se sia possibile ancora dopo lo spalancarsi dell'”abisso” e di fronte alla “catastrofe” del Novecento essere trascinati dalle “vecchie verità assolute”. Forse il punto sono proprio le troppe verità che ci circondano che, assunte a corollario del nostro voler avere ragione, ci offrono un porto apparentemente sicuro e meno impegnativo rispetto a quel particolare tipo di umanità e amicizia di cui parla Lessing.
Oggi risulta difficile per uno storico rapportarsi al mondo senza acrobazie intellettuali, che lo aiutino a decifrare gli eventi e a fidarsi delle fonti, il presente non permette la giusta distanza che occorre per “padroneggiare” il senso della realtà, almeno quanto basta per tradurla nell’immediatezza in un contenuto o in un racconto. La difficoltà riguarda gli uomini in generale alle prese con un mondo nel caos e che fa paura; i criteri con cui abbiamo ricostruito la nostra Storia dopo la “catastrofe” Novecentesca, si sono sgretolati sotto il peso di una politica che è venuta a delinearsi come monopolio di violenza fine a se stessa e ne è una dimostrazione il fatto che molti Stati continuino a perfezionare i loro arsenali nucleari. Viviamo in un’epoca di contraddizioni laceranti. Veniamo a conoscenza di quello che accade nel mondo in “tempo reale”, ma siamo impreparati a comprenderlo a pieno perché provvisti di balaustre vacillanti. L’Organizzazione mondiale delle Nazioni Unite (ONU) viene istituita il 26 giugno del 1945 a San Francisco con lo scopo del mantenimento della pace, il contesto è quello di un mondo in frantumi a seguito di un conflitto che provoca la morte di 60 milioni di persone. La Società delle Nazioni (SDN) costituita nel 1920 allo stesso scopo, era fallita sotto il peso del Primo conflitto mondiale. Pensare che tali organizzazioni siano votate al fallimento, è un errore che appartiene a quel tipo di generalizzazioni categorizzanti che fondano e su cui si fondano i pre-giudizi. In realtà dall’esistenza dell’ONU può dipendere la nostra. Con il susseguirsi di così tante guerre è logico pensare che ci siano delle crepe al suo interno, che vacilli, ma è bene discernere. In base agli studi dello storico svizzero Daniele Ganser l’ONU viene “sabotata dalle bugie” e la sua inefficacia risiede nell’inaffidabilità dei suoi membri: “È questo, dunque, il nodo sul quale intervenire per risolvere quella “inefficienza”. Qualsiasi riforma dell’ONU che non affronti il problema centrale delle menzogne, alla lunga è destinata a fallire”. Discutibile il ruolo della NATO, fondata il 4 aprile del 1949 a Washington, l’alleanza militare formata dagli Stati del Nordamerica e dell’Europa creata per difendere i propri membri, ma che dalla fine degli anni 80′ (1989 la caduta del muro di Berlino) ha iniziato a condurre guerre d'”aggressione illegali”. (3)
L’inedito non consiste nelle armi di distruzione di massa, lo spartiacque è segnato dalla bomba atomica lanciata sulla città di Hiroshima il 6 agosto del 1945 e tre giorni dopo su Nagasaki. L’inconsueto risiede nella posizione degli uomini nel mondo di fronte al pericolo di un annullamento tecnocratico e nella capacità di gestire i propri “fabbricati”. Günther Anders definisce il cambiamento in atto delineando tre ere a cui applica altrettante proposizioni: “Tutti gli uomini sono mortali”, “Tutti gli uomini sono eliminabili”, “L’umanità intera è eliminabile”. La seconda proposizione fa la sua comparsa nei campi di sterminio “in cui le macchine di morte lavoravano con precisione tanto assoluta, che ormai non restavano più residui antieconomici di vita”. Definisce l’uomo Antiquiertheit (antiquato) per l’incapacità di comprendere le conseguenze delle sue infinite possibilità di produzione, tanto da instaurarsi un “dislivello prometeico”, ossia un profondo iato tra la facoltà del sentire e quella del fare, che comporta un senso d’inferiorità “vergogna prometeica”, prerogativa propria dell’uomo che produce qualcosa di incommensurabilmente superiore a se stesso tanto da non averne il controllo. (4)
In tutto questo gran pasticcio è forse possibile trovare un “oasi” quelle che la Arendt chiama “fontane corroboranti, che ci rendono capaci di vivere nel deserto senza conciliarci con esso”. Senza correre il pericolo dell’escapismo, ossia fuggire dal mondo portando nell’oasi la sventura da cui si fugge e senza isolarsi completamente da esso, è probabile che l’oasi si possa ricercare nell’arte e in particolare nella musica. Un linguaggio universale che liberamente si muove nel mondo e crea legami e comunanze di senso, senza limiti temporali e territoriali. Il mio pensiero va ai ventiquattro Capricci (1820) di Niccolò Paganini, composizioni per violino estremamente complesse, che gettano un bagliore sulle straordinarie capacità umane, come un pensiero che si rivolge al mondo e agli uomini che lo abitano instaurando e richiedendo un dialogo. Le tecniche violinistiche richieste per l’esecuzione sono varie ed eseguite con la mano sinistra, peculiari sono le indicazioni stilistiche scritte dal musicista “imitando il flauto”, imitando il corno”; una pluralità di melodie tra trilli e arpeggi, un allegro, un posato, un vivace, fino al capriccio numero 13 in si bemolle maggiore “la risata del diavolo”, una melodia intrigante e a tratti sinistra come il male che s’insinua nella nostra Storia.
(1) Per queste riflessioni si guardi: di Hannah Arendt “L’umanità in tempi bui. Riflessioni su Lessing” ed. a cura di Laura Boella, Raffaello Cortina Editore, 2006. Si tratta del discorso tenuto dalla teorica-politica il 28 settembre 1959, in occasione del conferimento del premio Lessing, istituzione della libera città anseatica di Amburgo. I “tempi bui” riprendono l’incipit della poesia di Bertolt Brecht “A coloro che verranno” (1939):” Davvero, vivo in tempi bui! La parola innocente è stolta. Una fronte distesa vuol dire insensibilità. Chi ride, la notizia atroce non l’ha saputa ancora. (….)”
(2) Hannah Arendt, “Che cos’è la politica?” a cura di Ursula Ludz, Einaudi, 2006. Frammento 4, pag.144.
(3) Daniele Ganser, “Le guerre illegali della NATO”, Fazi Editore, 2022.
(4) Günther Anders, “L’uomo è antiquato” Vol. 1, Bollati Boringhieri, pagg. 128-129.
Nessun commento