Scivolando s’impara

Scivolando s’impara

A chi non è capitato di sentirsi come in un frullatore, in cui invece di girare della frutta fresca volteggiano i propri pensieri, preoccupazioni, impegni, appuntamenti, liste di cose da fare o acquistare e persino da dimenticare? Come degli equilibristi ogni giorno adempiamo ai compiti che ci siamo prefissati schivando gli imprevisti e rincorrendo il tempo.

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Proprio mentre ero intenta a rincorrere il dopo e pensavo al poi, sono scivolata sul qui e ora. In quel preciso momento ho percepito l’esserci heideggeriano, ho sentito il mio essere nel mondo, il frullatore si è spento e il tempo si è fermato accanto a me.

Quando si rompe una parte del proprio corpo si percepiscono diverse sensazioni, non solo fisiche, ma anche emotive e nella guarigione non sempre le due cose vanno di pari passo.

Anche in questa circostanza mi si è presentata di fronte la fretta, il volermi “aggiustare” subito, aggiungendo al mio riscoperto esserci un pezzo di ricambio, che mi avrebbe permesso di ritornare nel mio frullatore in poco tempo. Dato che il mio caso clinico lo permetteva ho scelto di affidarmi al “tempo che aggiusta le cose” e invece di collaborare con la fretta, contro tutti e tutto, ho affiancato il tempo.

Durante questo cammino sono riemersi alcuni aspetti, che avevo abbandonato a se stessi.

Ci sono alcuni eventi prevedibili che diventano imprevedibili per distrazione, dimenticanza, trascuratezza delle conseguenze. Concetto che può tradursi nella realtà con il mettersi nei guai e che emerge in tutta la sua forza nella serie televisiva “Mare Fuori”, nelle vicende che coinvolgono il personaggio di Cardiotrap (Domenico Cuomo) e Filippo (Nicolas Maupas).

Non c’è una corrispondenza tra ciò che appare reale nel mondo virtuale e ciò che è tangibile della realtà empirica. Se hai sete e hai una parte di te rotta, non è facile aprire una bottiglia e può essere necessario aprirla con i denti: “necessità fa virtù”.

Solo ora mi è chiaro il desiderio che ho provato fin da subito, di trasformare il mio giardino in un posto incantato. Ho decodificato il mio modo di riparare il rotto, scoprendo la poetessa Chandra Candiani: “Esercitare la meraviglia cura il cuore malato che ha potuto esercitare solo la paura” (Questo immenso non sapere. Conversazioni con alberi, animali e il cuore umano, pag. 9). Non sono ancora riuscita a realizzare completamente il mio desiderio, ma qualcosa dev’essere cambiato se nel giardino hanno trovato dimora stabile una famiglia di rane, una merla e da qualche settimana una locusta egiziana.

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