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  • Conflitto in Medio-Oriente: gli ebrei tra emancipazione e assimilazione. ll cammino verso la nascita del movimento sionista in Europa orientale.

    Quando l’Impero russo, il Regno di Prussia e la Monarchia asburgica spartiscono la Polonia (1772,1773 e nel 1795), un elevato numero di ebrei viene a far parte dei loro territori. Le mire espansionistiche degli imperi mutano la situazione, tanto che nel XIX secolo il 75 % degli ebrei vive nell’Europa orientale e la maggior parte in Russia. Nel 1791 Caterina la Grande istituisce un “distretto d’insediamento ebraico”, che si estende a Nord fino al Mar Baltico e a Sud fino al Mar Nero e comprende gli attuali territori della Polonia, Lituania, Lettonia, Bielorussia e Ucraina. In quest’area gli ebrei vivono in shetlekh (villaggi), costantemente minacciati dalla periodiche violenze da parte dei sudditi non ebrei, mantengono una propria lingua: l’yiddish una commistione di ebraico, tedesco con richiami allo slavo e al francese antico. Il progetto è quello di una loro esclusione fino alla completa “assimilazione” (conversione), ossia integrazione come singoli cittadini nell’Impero. Questa politica comporta da un lato la perdita da parte delle comunità ebree delle proprie istituzioni dirigenziali e l’allontanamento dalle proprie tradizioni, dall’altro non si realizzò mai. Il forte antisemitismo (si pensi ai Protocolli dei Savi di Sion 1903/1905), rende impossibile la fusione degli ebrei nel resto della società non ebraica, rafforzando in essi un senso di alterità e l’idea che non fosse la fede a determinarla, ma la propria Storia e cultura comuni.

    La trama del percorso storico che determina la nascita del nazionalismo sionista muove all’interno dei profondi cambiamenti politici, sociali ed economici che interessano l’Europa occidentale ed orientale nel corso del XVIII e XIX secolo. La congiuntura economica con la depressione internazionale conclusasi nel 1896 e il costante antisemitismo culminato nei pogrom del 1882, spingono gli ebrei a spostarsi nelle città inserendosi nelle attività commerciali, industriali e nelle libere professioni, ma anche ad emigrare scegliendo come meta non la Palestina, ma gli Stati Uniti. Immigrazione dall’Europa a cui l’America nel 1921 pone delle limitazioni. Nonostante il richiamo alla Terra d’Israele fosse forte, in America gli ebrei avevano la speranza di poter vivere liberamente.

    Spostandosi nelle città gli ebrei vengono a costituire una sorta di classe media senza reale funzione sociale o politica, ma aperta alle sollecitazioni dei nascenti movimenti nazionalisti, sindacali e socialisti. Quest’apertura è comprensibile solo se si tiene presente che la politica di russificazione promuove l’istituzione nel distretto di scuole laiche in lingua russa, con insegnanti perlopiù non ebrei e ciò rende possibile l’accoglienza da parte degli ebrei dei movimenti ideali provenienti dall’Europa occidentale. A preparare il terreno per questa ricezione è l’antesignano dei movimenti ideologici nati a metà dell’Ottocento; l’Haskalah, l’illuminismo ebraico, sorto in Germania dopo la seconda metà del Settecento e promosso da Moses Mendelssonhn, vicino al “nostro” Lessing. I suoi promotori, i maskilim, sostenevano la conoscenza dell’ebraico biblico per un approccio critico ai testi sacri al fine di smorzare l’oppressione della vita culturale da parte dei rabbini tradizionalisti, ma anche per non perdere la propria identità culturale ebraica di fronte alle politiche di assimilazione ed emancipazione.

    Come l’Illuminismo europeo l’Haskalah promosse il primato della razionalità e della scienza sulla fede e la tradizione, interpretando la Storia in termini di progresso e processo razionale e temporalmente lineare, facente capo a principi generalizzabili in cui le entità singole, come le nazioni, permangono nelle loro caratteristiche fondanti nel corso del tempo. Tutti questi fattori politici, culturali e di congiuntura economica alimentano e rendono possibile la nascita di un nazionalismo ebreo, chi raccogli le fila di questa possibilità è Theodor Herzl (1860-1904), non certo il solo sionista, ma certamente il più dotato di capacità organizzative.

  • Conflitto in Medio-Oriente: gli ebrei tra emancipazione e assimilazione. ll cammino verso la nascita del movimento sionista in Europa occidentale e centrale.

    Ciò che caratterizza una nazione è il fatto di poggiare la sua unicità e quindi la sua esistenza su una Storia comune che viene fatta risalire a secoli addietro. Quando questo legame con un passato collettivo viene usato per rivendicare la propria esclusività su un dato territorio-nazione, il condiviso costruito sulla memoria, sul legame emotivo e sul senso di appartenenza politico, culturale e sociale, si traduce in azione; nazionalismo. La rivendicazione della Palestina da parte degli ebrei sionisti, trova fondamento nella Bibbia, in Abramo e nei suoi discendenti emigrati nella Palestina nel II millennio a. C.. Il periodo più proficuo, anche se breve, dal punto di vista culturale e politico è segnato dai regni di Davide e Salomone nel X secolo a.C.. Nel 63 a.C. i Romani conquistano la capitale del regno Gerusalemme e nel 135 d. C. la distruggono e rinominano la provincia Palaestina, toponimo da cui deriva l’arabo Filastin. Distrutto il centro di culto ha inizio la diaspora, il trasferimento della vita ebraica nelle comunità esterne alla Palestina, fulcro fino alla nascita del movimento sionista. La narrazione palestinese inizia anch’essa in epoca antica. Prima dell’arrivo degli israeliti, il territorio era abitato dai cananei di lingua semitica (tra l’ebraico e l’arabo) e dai filistei, giunti in Palestina nel XII secolo a.C.. Detti “popoli del mare” i filistei s’insediano sulle coste orientali del Mar Mediterraneo, soggiogando fenici, egiziani e ittiti e, in base alla storiografia palestinese, non vengono mai conquistati dagli israeliti. Alcune recenti scoperte mostrano come la Storia dei filistei non collimi con il racconto biblico. Diversamente dalle tribù dei patriarchi biblici dediti esclusivamente alla pastorizia, essi danno vita ad una florida civiltà urbana federandosi nella “lega delle cinque città”: Ashdod, Ascalona, Ekron, Geth, Gaza; l’attuale territorio della Palestina. A questo punto il racconto prosegue con le invasioni islamiche e l’ingresso della Palestina nell’Impero musulmano di cui tratto nell’articolo sulla nascita del nazionalismo palestinese. Gli eventi della Storia antica sono fondamentali per capire la formazione dell’identità israeliana e fanno da fondamenta alle basi del movimento sionista, celebrati nel corso dei secoli restano invariati a forgiare ed alimentare il senso e il tempo di una memoria collettiva, si pensi all’assedio di Masada del 74 d.C., la fortezza nei pressi del Mar Morto ultimo baluardo degli ebrei contro i romani, per cui la narrazione vuole che i ribelli scelgano il suicidio collettivo piuttosto che la resa al nemico. Per comprendere la nascita del sionismo e del pre-giudizio antisemita è necessario guardare all’Europa Occidentale e Orientale, tra il Seicento e gli inizi del Settecento e allo sviluppo degli Stati nazionali messi in crisi dall’imperialismo, che porta alla competizione tra i vari Stati nazionali e al declino sempre più impetuoso del ruolo che gli ebrei avevano avuto al loro interno. Dal Medio Evo all’inizio dell’età moderna la maggior parte degli ebrei viveva in aree urbane circoscritte denominate “ghetto”, dove aveva la possibilità di seguire le proprie usanze come i riti sociali ed esercitare le proprie attività come le transazioni commerciali all’interno della comunità. Tra il XVII e il XVIII secolo singoli ebrei riescono ad emergere dal “ghetto” e a ricoprire l’influente ruolo di “ebreo di corte”, dedito agli affari del proprio principe e finanziatore delle attività statali. Oltre a godere di numerosi privilegi, gli “ebrei di corte” svolgevano una sorta di protezione nei riguardi della più ampia comunità di ebrei, fungendo da tramite delle istanze della comunità ai principi. Con l’avvento dello “Stato assoluto” e la volontà dei sovrani d’imporre la propria supremazia, una comunità autonoma come quella ebrea non poteva essere tollerata in quanto una sorta di stato all’interno dello Stato. La Storia degli ebrei è strettamente legata a quella degli Stati e del rapporto tra di essi, il processo di smantellamento delle comunità ebree non avviene in modo omogeneo, inoltre lo Stato contemporaneo si sviluppa prima in Europa occidentale e centrale e poi in quella orientale, per cui la Storia delle comunità delle due aree segue percorsi diversi. Tuttavia il 1791 è una data fondamentale che segna un cambiamento nella Storia delle comunità ebree di entrambe le aree. Nell’Europa occidentale e centrale l'”emancipazione degli ebrei”, l’eliminazione delle strutture autonome e delle distinzioni giuridiche, ha il suo culmine durante la Rivoluzione francese, quando si propone la concessione di pieni diritti di cittadinanza agli ebrei: “ognuno di loro deve diventare cittadino individualmente”. Venuta meno l’autonomia delle comunità ebree e con essa i privilegi feudali di cui godevano, si accelera il processo di passaggio di potere dei dotti a quello dei notabili, sedimentatosi nel corso dell’Ottocento e poi sostituito dal movimento sionista. Inoltre le crescenti esigenze finanziare dei nascenti Stati nazionali portano ad estendere i privilegi concessi agli “ebrei di corte” alla classe ricca di banchieri ebrei tra cui ebbe una vertiginosa ascesa la famiglia dei Rothschild. Va da sé che l’imporsi della politica imperialista, conduce alla perdita da parte degli ebrei del monopolio del credito statale e della loro importanza come gruppo, anche se alcuni mantengono la funzione di consiglieri finanziari e mediatori intereuropei. È in questo contesto che la famiglia Rothschild ha un ruolo fondamentale, tanto da alimentare la convinzione che il popolo ebraico costituisca una sola famiglia unita da legami di sangue. Credenza che emerse ogni qual volta le classi sociali vennero a scontrarsi con lo Stato, scatenando odio e antisemitismo politico. Sulla scia della Francia anche gli altri Stati dell’Europa occidentale e centrale promuovono l’emancipazione, che alla fine del 1800 in quest’area può ritenersi conclusa, mentre in Europa orientale il percorso è molto più lento, basti pensare che in Russia gli ebrei vengono emancipati nel 1915. L’emancipazione degli ebrei presenta contraddizioni sia dal punto di vista politico, che dal punto di vista sociale e alimentò nei loro confronti da un lato l’antisemitismo politico in quanto considerati un elemento unito e compatto all’interno della nazione, dall’altro discriminazione sociale qualora si promosse l’eguaglianza e parità di diritti con i non ebrei. La questione dell’emancipazione si concretizzò in termini di problema educativo piuttosto che politico. Gli ebrei sono accettati non in quanto tali, ma in quanto singole “eccezioni”. Nel corso del Settecento questo atteggiamento si traduce nell’umanesimo di Herder, di Lessing e nei propositi del Wilhelm Meister di Goethe; gli ebrei vengono considerati espressione di una particolare umanità ed intelligenza. Questo aspetto riguarda in particolare la Berlino illuminata, ma sia che si trattasse dell’ascesa dei notabili o dell’intelligencija ebraica in entrambi i casi riguardò particolari eccezioni, con l’unica differenza che i primi “eccezionali” per ricchezza per quanto distaccati dalle comunità ambivano al dominio su di esse, restandone pertanto legati, mentre gli intellettuali desideravano e cercarono di separarsene per non scomparire nella massa perseguitata, da qui le numerose conversioni. In tutti questi casi si chiese agli ebrei di essere ebrei eccezionali, senza essere ebrei, venendosi a creare una profonda lacerazione interiore, che alimentò la costante indecisione, per sopravvivere, tra l’essere dei “parvenu” ossia degli arrampicatori sociali o dei “paria” esclusi dalla società a rischio di perdersi nella massa dell’ebreo in “generale”, costantemente minacciata dall’odio antisemita.

    Fonti: Hannah Arendt: “Le origini del totalitarismo”, James L. Gelvin “Il conflitto israelo-palestinese”.

  • Intermezzo tra presente e passato: l’antisemitismo un pre-giudizio contro il mondo e l’inedito di fronte alle armi di distruzione di massa.

    Per questo intermezzo di pensieri trovo riparo in quello che diceva il filosofo e drammaturgo tedesco Gotthold Ephraim Lessing, coraggioso illuminista “fuori dalle righe”: “Non ho il dovere di risolvere le difficoltà che creo. Le mie idee possono essere sempre un pò sconnesse, o sembrare anche contraddirsi: conta solo che siano idee in cui i lettori possano trovare materia per pensare da sé (Selbstdenken)”. Il pensiero per Lessing è un modo per “muoversi liberamente nel mondo”, non esercitato nella solitudine, né tanto meno ricercato per trovare un equilibrio tra sé e il mondo, ma intrapreso per stimolare un dialogo tra gli uomini in un momento dato e quindi privo di barriere giuridiche, morali, religiose e urgenze di logica o coerenza. Lessing non vuole produrre conoscenze, ma stimolare un pensiero “agente”, non sottomesso ad alcun risultato e quindi in movimento. Nel poema drammatico “Nathan il saggio” (Nathan der Weise 1778), i nodi tematici si muovono nella tensione tra la verità da un lato e l’amicizia e l’umanità dall’altro, sullo sfondo delle tre religioni monoteistiche l’Ebraismo di Nathan, il Cristianesimo del Templare e l’Islamismo del sultano Saladino. Al di là delle molteplici differenze e verità storiche quello che conta e che resta, è l’essere uomini che condividono lo stesso mondo e quindi possono essere amici. L’umanità e la fraternità di Lessing sono pensate da una posizione priva di pre-giudizi, ossia di quelle “verità assolute” su cui poggia il mondo e da cui trae significati e continuità e, proprio per questo, nonostante siano continuamente scosse, vengono sempre ricostituite anche senza che abbiano ancora un significato nella realtà. L’umanità intesa come fratellanza compare solo nei “tempi bui”, delle guerre e dei massacri, ed è prerogativa degli umiliati e degli offesi, dei popoli paria che sono perseguitati e ridotti in schiavitù. (1)

    Se per Hannah Arendt “Ciò che è andato storto è la politica, e cioè noi, per quanto esistiamo al plurale”, (2) nei nostri “tempi bui” forse “ciò che è andato storto” è il fatto di essere stati risucchiati in una dimensione “privata” resa costantemente “pubblica”, credendo in questo modo di avere un ruolo nel mondo, quando in realtà questo ripiegare in sé stessi è stato il risultato di un voluto distacco da esso. A mio parere nel “come” e “perché” di questo distacco si ritrovano i nodi e si rivelano le contraddizioni del tempo presente. Uno di questi nodi potrebbe ritrovarsi proprio nei pre-giudizi, che non sono altro che giudizi anticipati formulati in epoche precedenti e rimasti come orientamento per rapportarsi alla realtà, ma di fatto non verificati né empirici. Da un lato svolgono la funzione di potersi rapportare alla realtà senza l’obbligo di ridefinirla continuamente, dall’altra sono per natura esclusivi e delimitano, avendo una valenza solo in un contesto puramente sociale, l’ingresso nella società degli uomini. È proprio nei “tempi bui” che i pre-giudizi invadono la sfera del politico e diventano pericolosi, trasformandosi in ideologie che hanno la pretesa di spiegare tutta la realtà storica e politica, impedendo la formulazione di nuovi giudizi e criteri per esperire il reale. Come potrebbe spiegarsi altrimenti l’antisemitismo come strumento di lettura e come reazione agli eventi che letteralmente precipitano attualmente sulle nostre teste?

    Senza addentrarci in una questione così complessa, passando per “Le origini del totalitarismo”, attraversando Raul Hilberg, Elie Wiesel, Zygmunt Bauman, pensando insieme a Yehuda Bauer e riflettendo sulle “discussioni” di Abraham B. Yehoshua o “semplicemente”, trovando un interlocutore in Lessing o “calandoci” in Kant quando guarda al “senso comune” come facoltà di giudizio e definisce il “pensiero aperto” come la capacità di “pensare mettendosi al posto di ogni altro”, mi chiedo se sia possibile ancora dopo lo spalancarsi dell'”abisso” e di fronte alla “catastrofe” del Novecento essere trascinati dalle “vecchie verità assolute”. Forse il punto sono proprio le troppe verità che ci circondano che, assunte a corollario del nostro voler avere ragione, ci offrono un porto apparentemente sicuro e meno impegnativo rispetto a quel particolare tipo di umanità e amicizia di cui parla Lessing.

    Oggi risulta difficile per uno storico rapportarsi al mondo senza acrobazie intellettuali, che lo aiutino a decifrare gli eventi e a fidarsi delle fonti, il presente non permette la giusta distanza che occorre per “padroneggiare” il senso della realtà, almeno quanto basta per tradurla nell’immediatezza in un contenuto o in un racconto. La difficoltà riguarda gli uomini in generale alle prese con un mondo nel caos e che fa paura; i criteri con cui abbiamo ricostruito la nostra Storia dopo la “catastrofe” Novecentesca, si sono sgretolati sotto il peso di una politica che è venuta a delinearsi come monopolio di violenza fine a se stessa e ne è una dimostrazione il fatto che molti Stati continuino a perfezionare i loro arsenali nucleari. Viviamo in un’epoca di contraddizioni laceranti. Veniamo a conoscenza di quello che accade nel mondo in “tempo reale”, ma siamo impreparati a comprenderlo a pieno perché provvisti di balaustre vacillanti. L’Organizzazione mondiale delle Nazioni Unite (ONU) viene istituita il 26 giugno del 1945 a San Francisco con lo scopo del mantenimento della pace, il contesto è quello di un mondo in frantumi a seguito di un conflitto che provoca la morte di 60 milioni di persone. La Società delle Nazioni (SDN) costituita nel 1920 allo stesso scopo, era fallita sotto il peso del Primo conflitto mondiale. Pensare che tali organizzazioni siano votate al fallimento, è un errore che appartiene a quel tipo di generalizzazioni categorizzanti che fondano e su cui si fondano i pre-giudizi. In realtà dall’esistenza dell’ONU può dipendere la nostra. Con il susseguirsi di così tante guerre è logico pensare che ci siano delle crepe al suo interno, che vacilli, ma è bene discernere. In base agli studi dello storico svizzero Daniele Ganser l’ONU viene “sabotata dalle bugie” e la sua inefficacia risiede nell’inaffidabilità dei suoi membri: “È questo, dunque, il nodo sul quale intervenire per risolvere quella “inefficienza”. Qualsiasi riforma dell’ONU che non affronti il problema centrale delle menzogne, alla lunga è destinata a fallire”. Discutibile il ruolo della NATO, fondata il 4 aprile del 1949 a Washington, l’alleanza militare formata dagli Stati del Nordamerica e dell’Europa creata per difendere i propri membri, ma che dalla fine degli anni 80′ (1989 la caduta del muro di Berlino) ha iniziato a condurre guerre d'”aggressione illegali”. (3)

    L’inedito non consiste nelle armi di distruzione di massa, lo spartiacque è segnato dalla bomba atomica lanciata sulla città di Hiroshima il 6 agosto del 1945 e tre giorni dopo su Nagasaki. L’inconsueto risiede nella posizione degli uomini nel mondo di fronte al pericolo di un annullamento tecnocratico e nella capacità di gestire i propri “fabbricati”. Günther Anders definisce il cambiamento in atto delineando tre ere a cui applica altrettante proposizioni: “Tutti gli uomini sono mortali”, “Tutti gli uomini sono eliminabili”, “L’umanità intera è eliminabile”. La seconda proposizione fa la sua comparsa nei campi di sterminio “in cui le macchine di morte lavoravano con precisione tanto assoluta, che ormai non restavano più residui antieconomici di vita”. Definisce l’uomo Antiquiertheit (antiquato) per l’incapacità di comprendere le conseguenze delle sue infinite possibilità di produzione, tanto da instaurarsi un “dislivello prometeico”, ossia un profondo iato tra la facoltà del sentire e quella del fare, che comporta un senso d’inferiorità “vergogna prometeica”, prerogativa propria dell’uomo che produce qualcosa di incommensurabilmente superiore a se stesso tanto da non averne il controllo. (4)

    In tutto questo gran pasticcio è forse possibile trovare un “oasi” quelle che la Arendt chiama “fontane corroboranti, che ci rendono capaci di vivere nel deserto senza conciliarci con esso”. Senza correre il pericolo dell’escapismo, ossia fuggire dal mondo portando nell’oasi la sventura da cui si fugge e senza isolarsi completamente da esso, è probabile che l’oasi si possa ricercare nell’arte e in particolare nella musica. Un linguaggio universale che liberamente si muove nel mondo e crea legami e comunanze di senso, senza limiti temporali e territoriali. Il mio pensiero va ai ventiquattro Capricci (1820) di Niccolò Paganini, composizioni per violino estremamente complesse, che gettano un bagliore sulle straordinarie capacità umane, come un pensiero che si rivolge al mondo e agli uomini che lo abitano instaurando e richiedendo un dialogo. Le tecniche violinistiche richieste per l’esecuzione sono varie ed eseguite con la mano sinistra, peculiari sono le indicazioni stilistiche scritte dal musicista “imitando il flauto”, imitando il corno”; una pluralità di melodie tra trilli e arpeggi, un allegro, un posato, un vivace, fino al capriccio numero 13 in si bemolle maggiore “la risata del diavolo”, una melodia intrigante e a tratti sinistra come il male che s’insinua nella nostra Storia.

    (1) Per queste riflessioni si guardi: di Hannah Arendt “L’umanità in tempi bui. Riflessioni su Lessing” ed. a cura di Laura Boella, Raffaello Cortina Editore, 2006. Si tratta del discorso tenuto dalla teorica-politica il 28 settembre 1959, in occasione del conferimento del premio Lessing, istituzione della libera città anseatica di Amburgo. I “tempi bui” riprendono l’incipit della poesia di Bertolt Brecht “A coloro che verranno” (1939):” Davvero, vivo in tempi bui! La parola innocente è stolta. Una fronte distesa vuol dire insensibilità. Chi ride, la notizia atroce non l’ha saputa ancora. (….)”

    (2) Hannah Arendt, “Che cos’è la politica?” a cura di Ursula Ludz, Einaudi, 2006. Frammento 4, pag.144.

    (3) Daniele Ganser, “Le guerre illegali della NATO”, Fazi Editore, 2022.

    (4) Günther Anders, “L’uomo è antiquato” Vol. 1, Bollati Boringhieri, pagg. 128-129.

    https://youtu.be/vPcnGrie__M

  • Conflitto israelo-palestinese: rifugio in un contesto acritico e storico per conoscere e pensare liberamente. La nascita del nazionalismo palestinese.

    Il fondamento che fa da catalizzatore allo sviluppo del conflitto in Palestina può essere ricercato nella diffusione dei movimenti nazionalisti, sorti nell’Europa occidentale in seguito alla nascita della forma contemporanea di Stato, sullo sfondo dell’imperialismo che a causa della diffusione di idee di stampo nazionalista subisce a sua volta importanti cambiamenti. Queste idee trovano ispirazione nelle teorie dell’Illuminismo europeo del XVIII sec. e in quelle del movimento romantico che, nato per contrapporsi all’Illuminismo, diffonde alcune credenze tra cui quella delle comunità omogenee e ben radicate in determinati territori.

    Il sionismo e il nazionalismo palestinese possono essere compresi solo se si tiene presente da un lato il sorgere di un mondo di Stati-nazione come modello di organizzazione delle comunità politiche, dall’altro l’esportazione di questo modello nei territori dell’impero. Gli imperi premoderni e dell’inizio dell’età moderna raramente interferivano nella vita dei propri sudditi, si preoccupavano piuttosto di riscuotere tasse e tributi tramite élite imperiali che spesso parlavano una lingua diversa e professavano una religione diversa e di mantenere la pace nei territori dell’impero. Sulla spinta della diffusione mondiale del sistema di Stati-nazione, alcune élite imperiali per accrescere la propria potenza e difendersi dall’imperialismo europeo finiscono per adottarne il modello ed è il caso dell’Impero ottomano, che comprendeva il territorio della Palestina, dell’impero asburgico (austro-ungarico 1867) e di quello russo in cui viveva la maggior parte degli ebrei. In questi cambiamenti risiedono gli ingranaggi che conducono alla nascita di un nazionalismo ebreo e di un nazionalismo palestinese.

    La data che inaugura il nuovo corso degli eventi in Palestina è il 1516 quando gli ottomani iniziano a conquistare il Medio Oriente, creando un impero che sarebbe durato fino al 1918. L’antecedente è la conquista nel 1453 di Costantinopoli, ribattezzata Istambul e capitale dell’impero bizantino erede dell’impero romano. Tra il XVI secolo e la prima parte del XVIII secolo l’Impero ottomano mantiene le caratteristiche degli imperi moderni, un impero islamico (sunnita) retto da un sultano la cui legittimazione dinastica poggia sulla religione e governato in base alla legge islamica (shari’a), accanto ad altre fonti di diritto; quello consuetudinario e quello derivato dalle pronunce imperiali (Kanun). Il sultano poteva far valere anche il titolo di califfo, ossia capo supremo dell’Islam e difensore della fede. La presenza nell’Impero di tre città sante la Mecca e Medina in Arabia e nella regione della Giudea di Gerusalemme, aumenta l’interesse dell’élite imperiali nella Palestina. Si deve tuttavia tener presente che all’epoca la pratica religiosa nella maggior parte del mondo islamico era variabile ed è solo in età contemporanea che subentra una rigida ortodossia islamica e si stabilisce uno “stile di vita islamico”.

    Per comprendere i profondi mutamenti sociali, politici ed economici intervenuti nella formazione dell’idea di nazione in Palestina è necessario valutare i cambiamenti che subisce al suo interno un’economia di mercato (soprattutto cotone), che si espande a tal punto da integrarsi in un’economia mondiale e quindi soggetta al ciclo altalenante del mercato internazionale, nel periodo che si suole definire “lungo XIX secolo” (1789-1914). In generale il coinvolgimento del Medio Oriente nell’economia globale corrisponde all’avvio della Rivoluzione industriale in Europa occidentale e subisce un incremento nel periodo di stabilità seguito alla caduta di Napoleone nel 1815.

    Per risalire ai cambiamenti politici occorre far luce sull'”intermezzo” egiziano in Palestina (1831-1841) e il successivo ripristino del potere ottomano. Ad introdurre nella regione un efficiente e moderno apparato di governo, istituzioni e strutture proprie di uno Stato moderno è il “signore della guerra” e capo dell’Egitto Mehmet Ali che, in cambio dell’aiuto fornito agli ottomani in Grecia, riesce ad accaparrarsi un vasto territorio: Palestina, Siria e Libano; la “Grande Siria”. Quando gli ottomani, con l’aiuto dei britannici, ristabiliscono il loro potere in Palestina danno luogo ad una nuova fase di governo caratterizzata questa volta da un controllo più rigido del territorio. Fa da spartiacque al nuovo corso degli eventi la promulgazione nel 1858 di una nuova legislazione che riconosce ufficialmente la proprietà privata della terra (miri), prima giuridicamente proprietà dello Stato. In Palestina l’organizzazione sociale era complessa: il nucleo della società era costituito dal villaggio, fondato sulla famiglia, ogni villaggio era composto da quattro o cinque clan a capo dei quali c’era un anziano uno dei quali veniva scelto come capo del villaggio. È comprensibile come in questa realtà riscuotere i tributi fosse alquanto complicato, per cui la legislazione di fatto proibisce la proprietà collettiva e impone la registrazione individuale della proprietà, ma lascia allo Stato il diritto di regolarne la trasmissione e la destinazione d’uso. Questo sistema comporta la formazione di una nuova e più rigida stratificazione sociale; a volte il capo del villaggio registrava la terra a proprio nome, altre volte i contadini non potendo pagare la tassa di proprietà cedevano la terra agli usurai o ai notabili della città e altre volte ancora le terre venivano accaparrate dai membri dei consigli elettivi, creati per coordinare i funzionari nominati da Istambul. Per i notabili e i membri dei consigli si trattava di un arricchimento personale, di acquisire posizioni privilegiate e quindi di potere all’interno della società palestinese, posizioni che mantengono e “sfruttato” negli anni tra le due guerre, ma quello che bisogna tenere bene a mente è il fatto che si trattasse per lo più di proprietari terrieri assenteisti, per cui quando i rappresentanti del Fondo nazionale ebraico si propongono come acquirenti, non hanno problemi a vendere le proprie terre. Se è vero che questi mutamenti all’interno della società palestinese rallentano la nascita di un movimento nazionale uniforme, è anche vero che in qualche modo alimentano un sentore di appartenenza come contraccolpo. L’esito innescato dal rescritto Gülhane Hatt-i Sharif del 1839, che segna l’inizio delle riforme, e dal decreto Islahat del 1856, ne da conferma. Avendo lo scopo di riequilibrare i rapporti tra i sudditi e tra questi e l’Impero e promettendo di garantirne uguali diritti indipendentemente dalla religione, questi decreti danno impulso alla società palestinese per maturare un senso di appartenenza comune in quanto cittadini di uno stesso territorio, sottoposti alle stesse leggi e fedeli allo stesso Impero. Cosicché negli anni Quaranta del XX secolo, i contadini quando chiedono protezione e giustizia al governo di Istambul si richiamano alle norme stabilite nel decreto del 1839.

    Fonti: Tutto parte da studi e ricerche che feci più di dieci anni fa sulla “questione ebraica”, esaminata dal punto di vista filosofico, storico e teorico politico sulla scorta dei rapporti intercorsi tra Hannah Arendt e Karl Jaspers. La Storia non è un rincorrersi di date, ma sembra non interessi più a nessuno, forse neanche a me che ho guardato per troppo tempo altrove. Si guardi a James L. Gelvin ” Il conflitto israelo- palestinese. Cent’anni di guerra”.

  • Conflitto Israele-Palestina: l’incomprensibile presente di fronte a cent’anni di guerra. Introduzione: l’intrinseco sentimento da cui muove il mio pensiero.

    L’incomprensibile è tale perché quello che sta accadendo in queste settimane in Medio Oriente sfugge alla ragionevolezza umana là dove ancora permangono scintille di “solidarietà assoluta” ossia quello che Karl Jaspers definisce come il comune sentire che unisce gli uomini, prima delle loro convenzioni morali, giuridiche e politiche.

    Si tratta di un sentimento forte e profondo, una “solidarietà incondizionata” :” Ciò che costituisce l’essenza della nostra natura è quell’impulso incondizionato esistente tra uomini, per cui, dove vengono inflitte delle atrocità a uno o a un altro, o dove si tratta di dividere delle condizioni materiali di vita, si vuole o che si viva insieme o non si viva affatto”. ( Karl Jaspers, “La questione della colpa. Sulla responsabilità politica della Germania, ed. Raffaello Cortina, 1996, pag. 22, 23). Jaspers definisce la mancanza di tale solidarietà “colpa metafisica” e anche se il contesto in cui elabora il suo pensiero è quello della Germania del 1945, il significato non cambia.

    Nell’impossibilità di stabilire un perché, in quanto il rischio sarebbe quello di giustificare l’ingiustificabile, è doveroso ricercare un come e ripararlo da giudizi affrettati e prese di posizione totalizzanti, rifugiando il proprio pensiero in un contesto acritico e storico.

    Il presente è posto di fronte al passato perché è solo da questa posizione temporale che possiamo trattenere un frammento di speranza, di reale possibilità di riscatto dell’essere umano e modificare ciò che si pone come l’ineludibile ed ineluttabile corso degli eventi, che scatenati dal passato corrono inarrestabilmente verso il futuro, scardinando ogni possibilità di comprensione e perdendo in questa folle corsa pezzi di significato.

    Merita a tal proposito ricordare quanto scrive Walter Benjamin: ” C’è un quadro di Klee che s’intitola “Angelus Novus”. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo progresso, è questa tempesta.” ( Walter Benjamin, “Tesi di filosofia della Storia”, 9., Scritti filosofici, in “Angelus Novus. Saggi e frammenti”, Einaudi, 2014, pag. 80).

    Frammenti di speranza lo sono le iniziative del professor Mohammed Dajani-Daoudi fondatore nel marzo del 2007 di “Al-Wasatia”, il primo movimento islamico moderato palestinese che sostiene una pace negoziata con lo Stato ebraico e cerca di promuovere la comprensione tra palestinesi e israeliani. Il termine è ripreso dal Sacro Corano per indicare “giustizia”, “moderazione”, “via di mezzo” e letteralmente significa centro o tra due probabilità.

    http://www.wasatiamovement.com/

  • Un supermercato per far riemergere le nostre fragilità: Esselunga e ” La Pesca”
    https://youtu.be/sFE9VvAym3Q

    Una mamma con la figlia Emma a fare la spesa, perde di vista la bambina e la ritrova nel reparto della frutta intenta a prendere una pesca. Emma ha un progetto e la pesca l’aiuterà a portarlo a buon fine. La bimba è così concentrata nei suoi pensieri, che di ritorno a casa non ascolta i discorsi della mamma, mentre la sua attenzione è catturata da una giovane coppia che porta il figlio sul monopattino. Una mamma amorevole e una figlia felice giocano insieme, il suono del citofono ed Emma infila qualcosa nello zainetto e corre al portone dove ad aspettarla c’è il suo papà, mentre la mamma la guarda dalla finestra. Salita in macchina la bimba porge la pesca al padre, attenta alla sua reazione perché quella pesca spiega che è da parte della mamma.

    Con questo cortometraggio intitolato “La Pesca”, girato a Milano dal regista francese Rudi Rosemberg e prodotto da Indiana Production, Esselunga lancia la nuova campagna pubblicitaria firmata dall’agenzia creativa di New York Small, fondata da Luca Lorenzini e Luca Pannese e che prevede anche affissioni multi-soggetto ritraenti storie di vita quotidiana e persone comuni.

    La pubblicità, andata in onda per la prima volta la sera del 25 settembre sulle principali reti televisive, ha scatenato un’ondata di giudizi, pregiudizi, critiche e apprezzamenti, nonché rifacimenti scherzosi (meme), da ogni parte della società.

    Il centro della campagna poggia sulla frase “Non c’è una spesa che non sia importante” e questo lo sa bene la bambina che interpreta Emma in modo eccellente. Ciò che è importante non è quello che si acquista in sé per sé, ma il significato che ha per noi, che si tratti del burro per fare una torta con i propri figli, una bottiglia di vino per festeggiare una promozione o un piatto già pronto per cena che metta d’accordo tutta la famiglia o semplicemente se stessi, senza definizione di genere, età o religione. Chi non si domanda il più delle volte: “Cosa faccio per cena?”, leitmotiv delle nostre giornate “Tu cosa fai?” si cerca di strappare un’idea, una ricetta ad un’amica, un parente un vicino di casa.

    Il fatto che i protagonisti del cortometraggio siano separati è secondario rispetto alle sensazioni che proviamo e che possono trovare diverse declinazioni. Qualsiasi emozione tocca parti di noi che non si desidera disturbare perché potremmo commuoverci, riportando alla memoria il nostro percorso di vita, sia che si tratti di ricordi felici o tristi, in quanto passati qualcosa o qualcuno l’abbiamo perso. I bambini e gli animali sono per natura senza veli, suscitano sentimenti che in quanto tali si pongono come intrinsecamente sconfinati, rendendo tangibile l’inevitabile forza dell’essenza umana che riaffiora opacizzando per un momento il nostro disumanizzarci.

    L’Italia è tra i cinque Paesi in Europa con più femminicidi, accanto alla Germania, la Francia, il Regno Unito e la Spagna. Dall’inizio dell’anno ad oggi le vittime sono circa 79; una donna uccisa ogni tre giorni. Porre in discussione il divorzio (1970) appare un atto anacronistico e senza senso, nonché contraddittorio dato che interpretando il cortometraggio come un esempio di esclusione di alcune categorie sociali a favore della famiglia tradizionale si mina alle conquiste di tutti.

  • Scivolando s’impara

    A chi non è capitato di sentirsi come in un frullatore, in cui invece di girare della frutta fresca volteggiano i propri pensieri, preoccupazioni, impegni, appuntamenti, liste di cose da fare o acquistare e persino da dimenticare? Come degli equilibristi ogni giorno adempiamo ai compiti che ci siamo prefissati schivando gli imprevisti e rincorrendo il tempo.

    Proprio mentre ero intenta a rincorrere il dopo e pensavo al poi, sono scivolata sul qui e ora. In quel preciso momento ho percepito l’esserci heideggeriano, ho sentito il mio essere nel mondo, il frullatore si è spento e il tempo si è fermato accanto a me.

    Quando si rompe una parte del proprio corpo si percepiscono diverse sensazioni, non solo fisiche, ma anche emotive e nella guarigione non sempre le due cose vanno di pari passo.

    Anche in questa circostanza mi si è presentata di fronte la fretta, il volermi “aggiustare” subito, aggiungendo al mio riscoperto esserci un pezzo di ricambio, che mi avrebbe permesso di ritornare nel mio frullatore in poco tempo. Dato che il mio caso clinico lo permetteva ho scelto di affidarmi al “tempo che aggiusta le cose” e invece di collaborare con la fretta, contro tutti e tutto, ho affiancato il tempo.

    Durante questo cammino sono riemersi alcuni aspetti, che avevo abbandonato a se stessi.

    Ci sono alcuni eventi prevedibili che diventano imprevedibili per distrazione, dimenticanza, trascuratezza delle conseguenze. Concetto che può tradursi nella realtà con il mettersi nei guai e che emerge in tutta la sua forza nella serie televisiva “Mare Fuori”, nelle vicende che coinvolgono il personaggio di Cardiotrap (Domenico Cuomo) e Filippo (Nicolas Maupas).

    Non c’è una corrispondenza tra ciò che appare reale nel mondo virtuale e ciò che è tangibile della realtà empirica. Se hai sete e hai una parte di te rotta, non è facile aprire una bottiglia e può essere necessario aprirla con i denti: “necessità fa virtù”.

    Solo ora mi è chiaro il desiderio che ho provato fin da subito, di trasformare il mio giardino in un posto incantato. Ho decodificato il mio modo di riparare il rotto, scoprendo la poetessa Chandra Candiani: “Esercitare la meraviglia cura il cuore malato che ha potuto esercitare solo la paura” (Questo immenso non sapere. Conversazioni con alberi, animali e il cuore umano, pag. 9). Non sono ancora riuscita a realizzare completamente il mio desiderio, ma qualcosa dev’essere cambiato se nel giardino hanno trovato dimora stabile una famiglia di rane, una merla e da qualche settimana una locusta egiziana.

  • Viva Magenta: il colore Pantone 2023

    Il Color Institut Pantone ha finalmente comunicato il colore dell’anno con un conto alla rovescia che ha tenuto gli esperti del settore moda, bellezza e design, giornalisti e tutti gli appassionati, con il fiato sospeso fino alla sua comunicazione la sera di giovedì 1 Dicembre: il Viva Magenta 18-1750, un tono di rosso vibrante, in perfetto equilibrio tra caldo e freddo, pieno di vita e che trova le sue radici nella natura.

    Che colore è? Il magenta è ottenuto mischiando parti uguali di luce rossa e blu, non fa parte dello spettro ottico ed è quindi il colore complementare del verde, la differenza con il viola è data dalla quantità di rosso e blu nella sua formazione. Accanto al ciano e al giallo è il colorante utilizzato per la sintesi dei colori nel cinema e nella fotografia. Scoperto nel 1859 a Lione dal francese Francoise-Emmanuel Verguin, prende il nome della battaglia combattuta nel giugno dello stesso anno a Magenta durante la Seconda Guerra d’Indipendenza italiana.

    Il Viva Magenta proviene dalla famiglia dei rossi e s’ispira al colorante ricavato dalla cocciniglia; un pigmento rosso carminio molto brillante importato dalla Spagna nel XVI Secolo.

    Come spiega Leatrice Eiseman, la Direttrice Esecutiva dell’Istituto Pantone, si tratta di una nuova nuance, forte e pulsante che vuole promuovere la gioia e celebrare l’ottimismo, incoraggiare a sperimentare e a scrivere una nuova storia cromatica aperta a possibilità rivoluzionarie, anche all’intelligenza Artificiale.

    Per la prima volta Pantone, in collaborazione con Huge e Artechouse, sperimenta il complesso meccanismo che intercorre tra Intelligenza Artificiale text-to-image e creatività umana dando vita al “Magentaverse”, un’esperienza multisensoriale che guida lo spettatore tra scienza, arte e tecnologia alla conoscenza del nuovo colore. La prima mostra dedicata si svolgerà il 3 Dicembre a Miami.

    Il viva Magenta è una tonalità importante ed avvolgente, che vuole sostenere un messaggio d’inclusività, una tinta non convenzionale per un tempo non convenzionale che dona un accento di eleganza ovunque sia presente. Una cromia inedita che sembra voler armonizzare le dicotomie dei nostri giorni, tanto che se dovessi descriverlo con una figura retorica lo definirei un colore “ossimorico” tra realtà e virtualità, natura e artificio, ribellione e compostezza, in movimento ed inedito, ma che affonda le proprie radici nel passato. La soluzione potrebbe proprio essere un ossimoro; due elementi opposti messi uno di fronte all’altro in cui uno dei due è determinante per l’altro e che insieme restituiscono il senso desiderato suscitando emozione e riflessione.

    Fonti: www.pantone.com, foto: Pantone, YouTube, Casafacile

  • #ColorOfBiodiversity. Pantone 1775C un colore per il pianeta.

    Il termine biodiversità è stato coniato dall’entomologo americano Edward O. Wilson nel 1988 e con esso s’intende la ricchezza di vita sulla terra: le piante, gli animali, i microrganismi, i geni che contengono e i complessi ecosistemi che essi costituiscono nella biosfera.

    Il “Pantone Color Institute” in collaborazione con l’azienda produttrice di tè Tealeves, poche settimane prima del lancio del colore dell’anno, ha annunciato il colore ufficiale della biodiversità; Pantone 1775 C, una tonalità di rosa per sensibilizzare e smuovere le coscienze in difesa del nostro ecosistema.

    L’azienda americana ha raccolto la sfida lanciata dal Forum della biodiversità Mondiale delle Nazioni Unite e dal rapporto ” 30X30 A blueprint for ocean protection” stilato da un gruppo di ricercatori dell’Università di York nel Regno Unito, che ha l’obbiettivo di proteggere il 30% degli oceani entro il 2030.

    La Tealeves ha creato la piattaforma “Biodiversity Design Hub” in memoria del designer August de Los Reyes, a sostegno di soluzioni progettuali innovative, un design equo, sostenibile ed inclusivo, dove invita ognuno di noi ad impegnarsi a celebrare “la bellezza della biodiversità”.

    “Amplifica il colore per amplificare il messaggio. Salva la biodiversità!”

    La tonalità di rosa selezionata dal “Color Institute” appartiene al pigmento più antico della terra scoperto in rocce sedimentarie marine risalenti a 1.1 miliardi di anni fa, trovate in Africa Occidentale dal Dr. Nur Gueneli nel bacino di Taoudeni in Mauritania.

    Secondo Gueneli della ANU Research School of Earth Sciences : “I pigmenti rosa brillante sono fossili molecolari della clorofilla che sono stati prodotti da antichi organismi fotosintetici che abitavano un antico oceano che è scomparso da tempo”.

    Pantone da anni è impegnato nella lotta per la salvaguardia del pianeta, nel 2019 ha collaborato con Lacoste per creare un colore unico in omaggio alle Everglades, il solo luogo al mondo in cui convivono coccodrilli e alligatori, la più grande riserva naturale rimasta nel Nord America.

    Un forte richiamo ambientalista, la nuance dai toni avvolgenti e rassicuranti del Living Coral 16-1546 il colore dell’anno 2019 in difesa delle barriere coralline.

    https://youtu.be/3HSH8dj2VRE

    Anche l’Italia partecipa al “Progetto 30X30” attraverso l’istituzione di “Aree Marine Protette” (AMP), che si propone di proteggere il 30% dei mari italiani entro il 2030.

    In questo momento storico la sfera privata predomina sulla sfera pubblica intesa come spazio condiviso, permanente, duraturo costruito sulla memoria, ma non solo in termini d’interessi individuali. Viviamo un epoca in cui il privato diventa pubblico in quanto strumento di guadagno personale; i confini tra condivisione e intimità sono labili così come quello di privacy. Più che agenti delle nostre vite, ne siamo diventati spettatori. Si tratta di processi complessi e contraddittori, ma è proprio ponendo il nostro interesse su ciò che ci circonda e condividiamo in quanto abitanti dello stesso pianeta, che possiamo ripartire per ricostruire il nostro essere cittadini del mondo, che agiscono nello spazio pubblico inteso nel suo significato originario di mondo condiviso.

    Fonti: Ispra, Pantone, Biodiversity Design Hub

  • Tendenze colori Pantone Autunno/Inverno 2022 e Primavera/Estate 2023

    Ben più che una scelta estetica, i colori Pantone ispirano le tendenze del mondo del design, della moda, della cosmetica e del disegno industriale, rispecchiando ed interpretando il presente e il più recente passato a livello globale.

    Per la prima volta viene creato un nuovo colore ad esprimere lo “Spirito del Tempo” il “Genius Saeculi”, lo “Zeitgeist” faustiano con Hegel “Geist seiner Zeit “, “lo Spirito del suo tempo” che si riflette nell’arte e nella cultura di un epoca. Un colore che vuole interpretare i recenti “Tempi bui”(Brecht), ma come direbbe la Arendt altrettanto interessanti.

    Il Very Peri non è un viola, ma un connubio tra il blu pervinca che contiene toni celesti, viola e grigi e comunica stabilità e tranquillità e un sottotono di viola e rosso che trasmette gioia e creatività, sprigionando freschezza, creatività e dinamicità a spronare verso un futuro che include il mondo digitalizzato nelle sue infinite possibilità.

    Giovedì 1 Dicembre alle ore 19 Pantone comunicherà il nuovo colore per l’anno 2023, ma ben prima di questa data, in occasione del Fashion Week di New York (11-16 febbraio) e di Londra (18-22 febbraio) gli esperti Pantone hanno svelato le novità cromatiche per la stagione Autunno-Inverno 2022/2023 e Primavera-Estate dell’anno a venire.

    Il report del “Color Institute” comprende dieci colori caratterizzanti, affiancati da cinque colori classici. Le cromie ci raccontano la dicotomia del nostro vivere una realtà complessa spinti tra l’anelito di libertà ed emancipazione e il desiderio di serenità e confort, così accanto ai toni luminosi che esaltano i sensi del tatto e del gusto, riscopriamo tinte classiche accoglienti e riposanti.

    I contrasti e la complessità dei nostri tempi vengono stemperati dall’apertura alla vita costruita sulla socialità e il rispetto di ciò che ci circonda, la natura e i suoi frutti, nel tentativo di vedere declinata la realtà in una prospettiva rassicurante e allo stesso tempo nutrita dal coraggio nel futuro.

    Fonti: Pantone

    Foto: Pinterest

  • Chi non conosce Pantone?

    Pantone è un’azienda statunitense fondata in New Jersey nel 1962 da Lawrence Herbert, che si occupa della catalogazione dei colori e di tecnologie per la grafica. Nel 1963 la Pantone Corporation ha introdotto il “Pantone Matching System”(PMS), tradotto in italiano “sistema di corrispondenze” che ha permesso di standardizzare i colori ed eliminare le discrepanze tra il colore e un prodotto finito. L’azienda ha quindi realizzato linguaggi di colori universali permettendo di semplificare il lavoro delle aziende produttrici in ogni sua fase. Il sistema è stato utilizzato da alcune nazioni come la Scozia per definire un preciso colore per la bandiera nazionale.

    Uno dei colori più conosciuti al mondo appartenente a questo sistema è il Blue Tiffany, negli Stati Uniti è un marchio registrato dall’azienda di gioielli che l’utilizza per confezionare i preziosi, il numero 1837 riprende l’anno di fondazione della Tiffany.

    Dal 2001 l’azienda rende possibile la traduzione dei colori esistenti rispetto la loro rappresentazione a schermo.

    Il mondo Pantone è davvero complesso e volto al continuo perfezionamento delle sue ricerche sul colore; accanto al “Matching System” legato alla stampa e confezionamento di un prodotto in tutte le sue fasi (presentazione, confezione, effetto sul pubblico), troviamo il “Pantone Fashion, Home + Interior” (FHI) per il settore moda e design che necessitano di più bianchi, neri e colori neutri nonché attenzione ai diversi materiali.

    A chi non viene il desiderio di circondarsi di almeno un pizzico di questo universo colorato? Negli abiti, accessori e complementi d’arredo Pantone ogni anno illumina i nostri orizzonti con un nuovo colore di tendenza.

    Nel 2010 è stato il turchese, il mio colore preferito l’anno che si sta affacciando?

  • Golden chi sei tu?

    Il Golden Retriever non sarà un cane da guardia, ma in due siamo una forza.

    Di origine scozzese, è un cane da riporto di taglia medio-grande, con un mantello folto idrorepellente e un fitto sottopelo.

    Nel 1911 la razza viene inserita nel Kennel club ufficiale della Gran Bretagna, il club cinofilo più antico del mondo (fondato nel 1873), mentre nell’American Kennel club viene accettato nel 1934. Nonostante la razza sia una, esistono differenze tra la linea americana e quella inglese.

    https://youtu.be/cgNEdVQyF10

    La differenza più evidente consiste nel mantello che nel Golden inglese prevede tonalità dorate tendenti al crema, mai rosso né mogano o bianco, in quello americano varie sfumature oro né troppo chiare o scure. Se volete sapere la colorazione del vostro Golden vi basterà osservare il colore delle sue orecchie o della coda da cucciolo, se più scuro è probabile che da adulto assuma proprio quel colore. Esiste anche un tipo canadese simile all’americano, più alto e magro rispetto all’inglese e con un pelo più sottile e scuro rispetto a quello americano.

    Il pelo del Golden appare leggermente ondulato e perso a ciuffi generalmente in inverno. Il sottopelo lo mantiene fresco d’estate e caldo in inverno, non ha bisogno di una toilettatura specifica come i cocker spaniel inglesi, ma va assolutamente spazzolato e curato.

    La mia Golden come tutti questi cani ha un temperamento giocoso e vivace, ama l’acqua, adora i bambini e le piace fare amicizia con gli altri cani, è molto curiosa e osserva con pazienza le nuove scoperte: farfalle, uccellini, lumache e anche insetti. Fate attenzione perché questi ultimi dopo averli osservati per un po’ tenterà di mangiarseli o portarseli in casa nella sua cuccia.

    Sono cani molto intelligenti per questo vengono impiegati nelle azioni di salvataggio sia in mare, che in terra e nella pet therapy. Sono attivi, ma rispettate i loro tempi! Lasciate che si fermino e si guardino attorno; alternano momenti di grande eccitazione a momenti di riposo, che spesso sopraggiunge all’improvviso con uno slancio a terra a volte anche piuttosto rumoroso.

    Amano la compagnia e specialmente la vostra, per cui se vi alzate durante la notte bè loro si alzeranno e vi raggiugeranno nel bagno o ovunque voi andiate e si fermeranno ad aspettare con voi. Dovrete creare dei limiti, per esempio per il bagno perché essendo cani grandi, una volta cresciuti potrebbero creare troppo ingombro…

    Ditegli di no, ma non mortificatelo perché è un cane molto sensibile, dovrete sempre trovare alternative e a volte fare qualche compromesso; se no il letto, magari un angolo del divano, loro si stringono volentieri basta avere attenzioni e coccole.

  • Golden in arrivo!

    Confesso di essere poco coraggiosa nella gestione di rumori sospetti, sconosciuti che possono aggirarsi nei pressi della propria abitazione e zone d’ombra che oscurano certi punti del giardino, per questo è arrivata lei: la mia Golden Retriever.

    Ossimoro conclamato un Golden cane da guardia, quasi quanto l’essere coraggiosi e al tempo stesso fifoni, ma è così. Non tutto ha confini netti e questo non comporta necessariamente confusione, ma spesso consapevolezza e attenzione nelle scelte, che in quanto umane hanno mille sfumature.

    La decisione di far entrare nella propria famiglia un cane (o più di uno o qualsiasi altro animale) dev’essere sempre fatta con cautela, valutando le proprie capacità fisiche, psicologiche, economiche, nonché il tempo che abbiamo a disposizione.

    Un cane ci cambia la vita, ma non in superficie in profondità. Con loro e dopo di loro non saremo più gli stessi, perché hanno solo noi e a noi si dedicheranno completamente, anche se vi sembrerà da subito il contrario.

    Da loro impareremo la pazienza, l’amore incondizionato ed emergeranno in noi risorse che non sapevamo di avere. Tanto più vacillerà la nostra pazienza, quanto più in loro scopriremo una gran perseveranza.

    Tutti i cuccioli combinano qualche guaio, ognuno nelle proprie inclinazioni, ma se li amiamo non è certo questo il problema piuttosto dovremo stare attenti ai pericoli: mangiano più o meno tutto quello che trovano a terra e se avete un giardino dovrete fare molta attenzione ad alberi e piante velenose come la Dipladenia, il Gelsomino, la Cicas, solo per citarne alcune.

    I Golden in particolare sono molto voraci ed è necessario utilizzare ciotole anti strozzo, fate attenzione a cucce imbottite ed acquistate solo giochi adatti ai cuccioli. Sono cani che arrivano a pesare oltre i 30 kg, quindi è consigliabile utilizzare guinzagli con il collare per abituarli a non tirare. Sono molto intelligenti e imparano presto abbiate pazienza!

  • Desiderio di natura? Scegli il colore Sikkens 2023: Wild Wonder

    Quest’anno il Color Futures si è tenuto nella suggestiva cornice del Chiostro del Bramante a Roma; l’evento più atteso dagli esperti e non del settore in cui viene svelato il colore dell’anno, per il 2023 il Wild Wonder. Frutto della costante ricerca del team creativo della Global Aesthetic Center di AkzoNobel, leader mondiale nella produzione di vernici di cui la Sikkens è importante brand, Il Wild Wonder “vuole aiutarti a catturare la magia della natura e portarla nella tua casa”, spiega Heleen van Gent direttrice creativa del centro.

    Intorno al colore dell’anno sono state costruite quattro nuove palette di colori, tutte ispirate alla natura e ai suoi prodotti: Raw Colours, Buzz Colours, Flow Colours e Lush Colours.

    https://youtu.be/pARqIVehvH8

    Raw Colours é una paletta pensata per ambienti stimolanti, creativi, ma allo stesso tempo rasserenanti. Le tonalità ricordano la terra, i semi e i suoi frutti e spaziano dalle nuance più chiare a quelle più calde del marrone.

    Buzz Colours è una paletta vivace, che ispira gioia ed armonia

    Flow Colours richiama le tonalità marine e muovendo dai toni neutri molto chiari ai toni più scuri offre la possibilità di dividere gli spazi della tua casa, mantenendo una certa fluidità tra gli ambienti.

    Lush Colours palette rilassante ispirata ai boschi e alle foreste, vuole creare un’atmosfera che stemperi il dinamismo frenetico della quotidianità.

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    Il colore dell’anno e le pallette Cf23 derivano da una ricerca volta ad interpretare le tendenze ed esigenze di un comune sentire iniziata nel 2021. Le combinazioni cromatiche proposte sono volte a generare equilibrio, luminosità, energia e ci permettono di percepire le nostre mura domestiche, ma anche gli spazi lavorativi in “connessione ” con la natura. I colori fanno parte della mazzetta 5051, potete trovare campioncini di colore dai rivenditori Sikkens e provarli su una parte delle vostre pareti, non dimenticando che la luce influisce sulla percezione del colore quindi provate in punti diversi!

    https://viewer.d10.net/0bfws55m
  • Vi presento i conigli. Parte seconda

    Artù, Blueth e Azzurra ricevono quotidianamente fieno a volontà e non sempre della stessa marca, ho notato che hanno gusti diversi e sono giunta alla conclusione che gli piace cambiare. Per quanto il migliore sia considerato l’Oxbow loro prediligono il Bunny, l’ Hamiform, l’Elisir (fieno di alta montagna) e a volte il Cliffi.

    Ricordate di scegliere un fieno profumato, con un bel colore, non polveroso e di controllare che sia pulito!

    I prezzi variano molto, considerate che deve costituire almeno 80% della loro alimentazione, in quanto fondamentale per mantenere sana la flora intestinale e i denti, che crescono all’infinito. Il fieno di erba medica è invece sconsigliato perché troppo ricco di proteine e calcio!

    L’erba di campo costituisce un ottimo alimento per i nostri conigli, quindi se si possiede un giardino o se si ha la possibilità di raccoglierla, diminuite la verdura e prediligete l’erba. Naturalmente assicuratevi che sia priva di sostanze chimiche, parassiti ed in generale d’impurità, che sia fresca e non velenosa! Potete anche far crescere l’erba in casa e seminare semi di erba per gatti.

    Sfatiamo il mito dell’erba e della verdura bagnata e delle carote! Anche se bagnate erba e verdure possono essere date con tranquillità, pensate che in natura questi animaletti se ne nutrono anche se è piovuto o nevicato e non credo giriate per casa con verdure sgocciolanti, quindi optiamo per una via di mezzo e non asciughiamo con lo Scottex foglia per foglia perché non è il caso. Sì alle foglie di carota, ma non serviamola in grandi quantità, solo un pezzettino ogni tanto come premio perché contiene troppi zuccheri.

    Evitiamo frutta secca, vietati assolutamente dolciumi e carboidrati causano obesità, blocchi ed enteriti, so che una volta si teneva il pane secco per i conigli, ma era ed è un’abitudine sbagliata e retrograda. Dannosissimi sono anche i mangimi che si trovano in commercio come i semi il mais vari cereali portano alla malocclusione dentale, a blocchi ed obesità.

    Sì alle verdure, da introdurre (così come l’erba) solo dopo aver fatto l’esame delle feci da un veterinario esperto in esotici, perché in caso di coccidi potrebbero avere effetti devastanti. Generalmente è previsto siano somministrate 150/200 grammi di verdure per ogni kg di peso corporeo. Vanno offerte inizialmente una alla volta e in piccole quantità; s’inizia da un pezzetto di sedano per esempio e lo si dà per qualche giorno, successivamente s’introduce un’altra verdura da aggiungere al sedano per qualche giorno e così via. Meglio non eccedere nelle tipologie e dare sempre le stesse verdure se notiamo che i nostri conigli hanno raggiunto un equilibrio (non hanno blocchi intestinali, hanno dei bei denti, giocano e spallinano alla perfezione). Non datele fredde, uscitele dal frigo almeno tre ore prima e devono essere fresche e non avere segni di deterioramento. Non tagliatele a pezzetti, devono poter masticare il più possibile!

    Artù, Blueth e Azzurra hanno trovato la loro armonia con il sedano, l’insalata rossa e l’indivia belga, evitiamo il finocchio perché li rallenta e in generale provoca aria. I miei nigli non amano la frutta, che si può dare però come premio in piccole quantità.

    Il pellet è un ottimo alimento perché non contiene cereali ed è composto da fieno e verdure pressati, i migliori sono l’Oxbow e il Bunny. Tuttavia è molto nutriente e non permette una buona masticazione, quindi dopo i sei mesi si consiglia di eliminarlo o offrirne qualche pezzetto solo come premio.

    Ricordate che i conigli sono dei gran mangioni rosicchianti, pertanto se non li vedete mangiare o spallinare come sempre correte dal veterinario, mai lasciarli senza nutrimento per più di 12 ore! Anche l’acqua dev’essere sempre a disposizione e lasciata in una ciotola abbastanza pesante da non ribaltarsi, amano infatti afferrarle con i loro dentini e lanciarle in giro o saltarci dentro mentre corrono. Evitate i beverini, a mio avviso poco igienici e scomodi per loro che rischiano di non bere abbastanza.

    Se volete dare un premio sicuro, che li farà felici provate ad offrirgli dei mini Drops e per tenerli occupati dei legnetti!

  • Vi presento il coniglio. Parte prima

    Fieno a volontà ed erba fresca di campo o la comune erba per il gatto (da non confondere con l’erba gatta assolutamente indigesta), questi gli ingredienti principali per alimentare i coniglietti e garantirgli denti sani e buona digestione, pellet di fieno dopo i 6 mesi solo come premietto, verdura fresca (ma non tutti i tipi sono indicati).

    Nell’immaginario collettivo questi animaletti ricordano il periodo pasquale ed ispirano dolcezza e coccole, ma in realtà molti di loro non sono disposti a farsi strapazzare, carezze sì sulla testolina e sulle guanciotte, mai a pancia in sù e non insistiamo a volerli prendere in braccio perché non sono animali da grembo.

    Il loro pon pon e le loro zampine lunghe e affusolate sono così graziose da trasportare la mente in un bosco incantato fatto di tunnel sotterranei e magari perché no, abbastanza grandi per infilarcisi dentro e trovare al di là un Paese delle Meraviglie.

    I conigli adorano scavare, ma se non si possiede un giardino o se il nostro non ci pare abbastanza sicuro a causa dei predatori (gabbiani, topi, gatti ecc..), possiamo procurarci scatole di cartone e metterci dentro sabbia, terra o fieno: loro apprezzeranno. Creiamo un bosco di morbidi tappeti per proteggere le loro zampine delicate ed evitare pododermatiti e se siamo abili ed inclini al fai da te, disponiamo nel nostro giardino recinti in metallo con un bel tetto e ancorati sottoterra per evitare che scavando possano fuggire.

    Esprimono la loro felicità saltellando, ma attenzione alle altezze perché raggiungono anche 1.70 e non percepiscono il senso del vuoto, quindi occhio ai balconi! Posizioniamo reti, ma non di plastica! Loro sono grandi rosicchiatori! Optiamo sempre per reti di metallo!

    I conigli soffrono molto gli sbalzi di temperatura, quindi i periodi più adatti per portarli fuori sono l’autunno e la primavera, quando la temperatura esterna ed interna sono pressoché identiche. Patiscono il caldo e sopra i 27 gradi possono essere soggetti ad un colpo di calore che, se non colto in tempo, ne provoca la morte. Temono la solitudine e vivono meglio in coppia e tenuti liberi all’interno della nostra casa, o almeno in una porzione di essa, così divengono membri a tutti gli effetti della nostra famiglia ed essendo molto delicati, risultano più controllati. Non dimentichiamo che questi animaletti devono essere seguiti da un veterinario esperto in esotici, che ne conosca caratteristiche, peculiarità e patologie!

    Pensate bene prima di far entrare un coniglietto nelle vostre vite, perché andranno seguiti e avranno bisogno di molte cure e attenzioni! Nulla con loro va lasciato al caso!